sabato, marzo 24, 2007

INTERVISTA A G. STRADA

Prima di leggere l'intervista a Strada riportata su Corriere.it vorrei esprimere il mio parere sulla liberazione di Mastrogiacomo.

Sono contento che si sia salvata una vita, dispiaciuto per la morte dell'autista e della scomparsa dell'interprete di M.

Poi mi lascia senza parole l'arresto del mediatore di Emergency edella strumentalizzazione di tutta la faccenda da parte della politica italiana e non solo.

Mi fa veramente schifo vedere i voltagabbana della politica italiana, uno su tutti Berlusconi, che prima erano felici e grati ad Emergency per la soluzione del sequestro, poi dopo i commenti degli USA..... leggete questa intervista e poi fatemi sapere.

Ciao!


Strada: «E’ stato il governo a chiedermelo Gli Usa hanno girato la testa dall’altra parte»
Intervista al fondatore di Emergency dopo la mediazione per il rilascio di Mastrogiacomo: se tornassi indietro, forse non lo rifarei
Gino Strada in compagnia di Daniele Mastrogiacomo subito dopo la liberazione del cronista (Ansa)KABUL — Gino, se tornassi indietro? «Col senno di poi, la voglia sarebbe di lasciar perdere tutto».
...e lasciar morire Daniele? «Cristo, se si va a vedere come finisce tutto in speculazione politica, non è bello. Quando ti ci trovi dentro, non è bello ».
Non dire che non te l’aspettavi... «Figurati, non m’aspettavo certo che qualcuno ci dicesse grazie. Però ci è stata chiesta ufficialmente una cosa dal governo italiano, e noi l’abbiamo fatta. Adesso dobbiamo uscirne in pari, vorrei solo non perderci. Non può essere che qualcuno ne esca coi casini. Perché il risultato di tutta questa storia, è che il giornalista di Repubblica torna a casa e dentro, al suo posto, c’è uno di noi». Clicca, telefona, fuma, si alza, si siede, ritelefona, riclicca: di fronte la veranda inondata di sole, felpa blu e Rolex blu, Gino Strada lavora come se questa storia fosse infinita. Non è finita, in effetti. Stamattina il fondatore di Emergency incontra il ministro della Sanità afghano, Fatimi: vuole sapere perché dopo cinque giorni è ancora in galera Rahmatullah Hanefi, il manager dell’ospedale di Lashkar Gah che ha trattato coi talebani per liberare Daniele Mastrogiacomo. «Qualcosa mi devono dire. C’è l’impegno di Prodi, non è che possano tirarsi indietro tutti. Dicono: avete trattato coi talebani. Ma che significa?».
Per Cossiga significa che siete vicini ad Al Qaeda. «È l’infamia d’un irresponsabile, lo querelo. Anche se lo sanno tutti che denunciare Cossiga è come bussare in banca la domenica pomeriggio. Non si rende conto che ci mette in pericolo? Come quell’altro—carino! — che ha detto che rischio di fare la fine di Calipari».
Gli afghani si chiedono chi sia questo Rahmatullah così ben inserito: liberò anche Gabriele Torsello... «Il fatto è uno: finché Rahmatullah è ingabbiato, noi non possiamo sapere dove sia Ajmal, l’interprete di Mastrogiacomo. I servizi afghani negano d’averlo preso. Se l’è portato via un altro gruppo. Ma io non voglio invischiare un altro mio uomo, per farlo parlare con Dadullah. Per capire se Ajmal è in pericolo, se i talebani ridono o se l’atmosfera è tesa, l’unico che può qualcosa è Rahmatullah. La verità è che dietro questa storia c’è la vendetta del capo della sicurezza afghana: era seccato, perché domenica i primi due talebani dello scambio erano già stati trasferiti da Kabul a Kandahar. Ma mica l’avevo deciso io, se la prenda con Karzai...».
Quanti gliene avete dati davvero? Sappiamo che all’inizio ne avevano chiesti 15, poi s’è capito che gliene interessavano soprattutto tre. Ma quando il governo è riuscito a scarcerarne due, loro hanno rilanciato a cinque più un sesto (quello che i talebani hanno condannato a morte e non vuole uscire). «Sono cinque. Il sesto è uno che ha già scontato un terzo della pena: il governo vuole scarcerarlo applicando la legge, che lo consente».
Ma è giusto trattare coi talebani? «La domanda va rivolta ad altri. Parisi che considera sia stato un errore affidare tutto a me! Lo dica a D’Alema: io me ne stavo a Khartoum, sono loro del governo che m’hanno chiamato... Tutti scandalizzati, adesso. Perché non hanno avuto i c... di dirlo dieci giorni fa, che non bisogna trattare coi talebani, quando a Daniele stavano tagliando la gola? Non è questione d’un talebano, d’un filippino o d’un finlandese: se uno ha deciso d’ammazzare l’ostaggio, non è una persona pregevole con cui discutere. È un assassino. E con uno così, mica può andare a trattare il governo italiano».
E chi fa i paralleli col caso Moro? «Non si possono paragonare i due sequestri. Il governo faccia la lista di quelli con cui si può trattare: alla fine, per definire chi è terrorista e chi no, s’accorgerà che non va da nessuna parte. Mica hanno la carta d’identità, i terroristi. E se chiedi al mullah, ti dice che i terroristi sono gli altri. L’unica linea è: non si tratta con gli assassini. Benissimo, ma da quando in qua si tratta per un ostaggio che non rischia d’essere assassinato? ».
Ma è credibile che americani e inglesi non sapessero? «Non ci hanno aiutato. Presumo lo sapessero, però. Hanno girato la testa dall’altra parte. L’ambasciatore Sequi è venuto qui, dove abito, e ha alzato un dito al cielo: "Guardi, Strada, che gli americani hanno un cono d’ascolto su questa casa"».
Te la sei presa coi giornali che in questi giorni scrivevano «i tagliagole islamici»: e l’uccisione dell’autista, allora? «Nessuno nega che Dadullah tagli le gole. Se ne vanta, ci sono i video. Quel che non mi va, è che li chiamino "islamici": è un’offesa a tutti i musulmani».
Ègiusto farli sedere alla conferenza sull’Afghanistan? «Non mi pare il problema centrale. Il problema è se agli afghani interessa una conferenza promossa dalle forze di occupazione. E chi decide chi sono gli afghani buoni e i cattivi, i talebani governativi e i Dadullah? ».
Francesco Battistini

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