Spezzone di un'intervista a Gianni Minà da repubblica.it
Che bilancio trae dal documentario?
"Che Guevara non era un visionario. A quarant'anni dalla sua scomparsa, l'America Latina ha otto capi di Stato che hanno intrapreso una strada completamente, o in parte, diversa dal neoliberismo. E vivono il riscatto: in Ecuador e Bolivia i presidenti sono due indigeni, in Brasile c'è un ex operaio metallurgico, in Cile c'è una donna. Si vede che, come sosteneva il Che, il continente poteva essere liberato".
Non crede che Cuba sia prossima a un cambiamento radicale?
"Cuba è già nel futuro. Si aspettava tanto la transizione, ma è già arrivata. Cuba doveva 'cadere' cinquant'anni fa con l'embargo, diciotto anni fa con la caduta del comunismo, un anno e mezzo fa con l'infermità di Fidel: non è mai successo niente. Ciò dimostra che le analisi dell'Occidente, su suggerimento degli Stati Uniti, sono sbagliate e costantemente smentite".
Che impressione le fa George W. Bush che due giorni fa ha detto che "il gulag dei Caraibi", cioè Cuba, ha i giorni contati?
"E' senza vergogna. E fuori dal tempo: ogni anno stanzia 140 milioni di dollari, 60 del Congresso e 80 del budget presidenziale, per favorire un cambiamento rapido e drastico a Cuba. Con tanti saluti al diritto di autodeterminazione dei popoli. Dovrebbe ricordarsi che quest'anno negli Usa sono state varate due leggi fra le più liberticide del palcoscenico mondiale, quella che autorizza la tortura e quella che abolisce l'habeas corpus. Un Paese leader della democrazia occidentale, che vara due leggi così, non ha l'autorità morale per parlare di diritti umani in altri Paesi".
Questo assolve Cuba?
"No. Ma ognuno dovrebbe pensare a quello che fa in casa propria".
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